Transizione Energetica e aspetti di natura geopolitica nella contestualizzazione regionale delle strategie di decarbonizzazione della UE: uno sguardo critico dal punto di vista della Pianificazione Territoriale in Sardegna


Uno degli errori più grandi nei quali si rischia di incappare in questo periodo storico è quello di pensare che il dibattito sulle politiche energetiche, in risposta ai cambiamenti climatici, sia una questione settoriale, talmente di alto livello strategico, da demandare ad altri il problema decisionale: agli organismi nazionali e/o sovranazionali viene demandato, dunque, il compito di definire strategie e obbiettivi; ai lobbysti e tecnici del Settore Oil&Gas, che operano di fatto in regime di totale conflitto di interessi, il compito di illuminare tutti sulle soluzioni possibili; mentre al livello locale  rimane il compito di pedissequa attuazione delle politiche considerate del tutto vincolanti secondo un metodo e linee di finanziamento stabiliti.

In un clima di generale e apparente rassegnazione, sembra che si rinunci a progettare il futuro aderendo in forma passiva a macro politiche che non possono contemplare tutti i casi particolari.

Così si finisce per scambiare degli aspetti di tipo tecnologico come dogmi sui quali non vale alcuna critica. Ne è di certo un esempio la strategia di decarbonizzazione della Unione Europea al 2050 che vede il gas naturale come vettore energetico di transizione in termini di "sicurezza energetica" nel percorso di sostituzione del carbone, previsione accolta anche nella strategia al 2030 del Governo Italiano.

Tale scelta è di tipo tecnologico, in via cautelativa e non cogente, nelle more della possibilità di effettuare scelte differenti e molto più aderenti a quello che è il vero obbiettivo al 2050, ossia quello di rendere l'Europa il primo Continente neutrale dal punto di vista delle emissioni di CO2.

Quando ci si trova all'interno di un clima di incertezza come questo, nel quale si rischia di confondere i fini con i mezzi, per formulare Politiche e prendere decisioni robuste, si rende necessario affrontare la situazione problematica attraverso analisi di alto livello adattandone sempre e sapientemente il quadro applicativo al contesto locale.

Serve cioè una base solida per effettuare scelte strategiche alle quali corrisponderanno progetti di tipo infrastrutturale e organizzativo che rivestiranno rilevanza sia dal punto di vista della intensità di capitali richiesti, sia e soprattutto per le profonde implicazioni connesse alla inevitabile modificazione degli equilibri tra le Popolazioni, le Attività ed i Luoghi che possono risultare compromessi irrimediabilmente a causa di soluzioni non del tutto ponderate.

Tra le varie metodologie a disposizione, ne propongo una che ritengo essere particolarmente idonea in quanto ha le caratteristiche più interessanti per poter essere utilizzata proprio per raggiungere questo scopo. 


Si tratta di uno strumento utilizzato a livello strategico in campo prevalentemente aziendale quando si rende necessario analizzare a fondo un nuovo contesto operativo, e dunque l'ambiente esterno all'Azienda stessa, per comprendere le ripercussioni che le sue caratteristiche possono avere sulla competitività futura dell'organizzazione.

Per favorire la massima comprensione e condivisione dei concetti tratterò la materia cercando di utilizzare un linguaggio meno tecnico possibile.

La metodologia è più nota nella sua variante meno complicata ossia la PEST o nella sua variante STEP. L'acronimo inglese sta ad indicare che l'analisi delle determinanti dell'ambiente esterno va condotta facendo attenzione alla dimensione Politica, Economica, Sociale, Tecnologica alle quali si aggiungono, in questo caso le dimensioni Ambientale e Legale. Tutte le dimensioni citate hanno pari dignità in quanto condizionandosi a vicenda in maniera sistemica concorrono a fare chiarezza di visione.

Per l'applicazione al caso concreto, ritengo che l'analisi debba ulteriormente ampliarsi a favore di un approccio il più possibile sistemico, contemplando sotto la lettera E anche le questioni di tipo Ecologico, ossia quegli aspetti di carattere biologico fondante gli Ecosistemi che stanno alla base delle caratteristiche strutturali di un territorio e che possono assumere il ruolo di invarianti non negoziabili.

La componente ecologica, infatti, non è normalmente ricompresa nella definizione generica di Environment ossia di Ambiente Naturale che viene di solito utilizzata nell'analisi.

In questo modo è possibile analizzare i più rilevanti macro fattori esterni che possono avere un impatto su un'organizzazione grande o piccola che sia, e che rappresenta il corretto punto di partenza per identificare le minacce e punti deboli utilizzati all'interno di un altro strumento magari più noto ossia l'Analisi SWOT.

Inoltre, con questo accorgimento, la metodologia risulta pienamente e proficuamente applicabile al campo tipico delle organizzazioni pubbliche di alto livello che nel loro processo decisionale mostrano un livello di complessità più elevato rispetto a quello tipico di organizzazioni aziendali private.

Volendo pertanto applicare tale metodologia di analisi alle questioni delle scelte che un Territorio peculiare come quello della Sardegna dovrebbe fare in termini di Strategia Energetica e Territoriale di lungo termine, si dovrebbe impostare il discorso generale chiarendo se, in riferimento al titolo, l'assunzione per la quale il gas naturale e il GNL siano realmente una fonte energetica "pulita" e realmente "sostenibile" come indicato nelle Strategie di decarbonizzazione della UE.

Innanzitutto si deve partire dalla fisica e dalla chimica elementari che ci dicono che, in uno scenario di sostituzione del carbone come fonte energetica, gli impatti climatici del gas naturale non possono essere ritenuti positivi se paragonati al carbone stesso.

Innanzitutto, gli effetti climalteranti del carbone sono quantificabili semplicemente in base alla CO2 che viene emessa nel processo di estrazione e quella che viene emessa a seguito della sua combustione; infatti questo tipo di materiale, trascurando la quantità di carbonio che comunque passa allo stato aeriforme per sublimazione, è sostanzialmente inerte fintanto che non viene bruciato e non richiede particolari surplus energetici per mantenerlo stabile a temperatura e pressione normali.

Invece, il Gas Naturale, ossia il Metano (CH4), ha per sua stessa natura effetti climalteranti superiori al carbone durante tutto il suo ciclo di vita in quanto richiede emissioni di CO2 per la sua estrazione, ma anche per portarlo e mantenerlo alle pressioni necessarie per rendere possibili tutte la fasi intermedie di stoccaggio, trasporto e distribuzione.

Inoltre si deve considerare che sia in fase estrattiva, sia nelle fasi intermedie precedenti il consumo per combustione, si verificano sempre ed inesorabilmente episodi di rilascio sia volontario (Venting) che incontrollato (Leacking) di CH4 nell'atmosfera per motivi legati a fattori tecnologici ed accidentali.

Considerando che tali eventi sono in costante aumento e che una semplice molecola di CH4 rilasciata nell'atmosfera ha effetti climalteranti mediamente 28 volte superiori rispetto ad una singola molecola di CO2 rilasciata dalla combustione di qualunque combustibile fossile, è facile comprendere dove si annidi il problema. 

Per farla ancora più semplice, si consideri che l'effetto serra dovuto al gas naturale comparato a quello del carbone in un periodo 20 anni ha un impatto superiore del 80% ed è attualmente responsabile per il 25% del riscaldamento globale.

Tali emissioni si sommano a quelle già esistenti legate a fenomeni naturali come l'attività vulcanica terrestre e sottomarina, la fermentazione della materia organica in assenza di ossigeno ad opera dei batteri, come pure le normali emissioni legate al ciclo biologico degli esseri viventi.

Purtroppo in passato era difficile misurare l'impatto delle emissioni in atmosfera legate alla produzione di petrolio e gas perché i dati a disposizione dei Governi, attraverso le proprie Agenzie per la protezione dell'ambiente, venivano acquisiti esclusivamente attraverso le autodichiarazioni dei produttori, che secondo uno studio del 2018 sottostimavano le emissioni del 60 percento.

Questo fenomeno è ancora più evidente e preoccupante nel settore dello Shale Gas proveniente dagli Stati Uniti estratto mediante l'utilizzo del Fracking, termine inglese per indicare la tecnica di estrazione di gas naturale e petrolio tramite la fratturazione idraulica delle rocce di scisto.

Tale tecnica, peraltro dannosissima, ha spinto esponenzialmente la produzione Statunitense con il risultato di aver saturato e superato la propria domanda interna di gas naturale determinando anche il deprezzamento del gas proveniente dalla estrazione petrolifera classica.

Tale produzione, sempre in aumento, oltre a creare devastazioni ed effetti collaterali, come l'inquinamento irreversibile delle falde acquifere, terremoti e conseguenti crolli di abitazioni, con continui episodi di crolli di case anche a chilometri di distanza dagli impianti, eccede quasi costantemente la capacità operativa degli impianti necessari alla compressione del Gas e al suo stoccaggio come Gas Naturale Liquefatto (GNL).

Questo collo di bottiglia richiede che l'eccesso di gas debba essere bruciato nelle torce degli impianti di produzione (Flaring) per non fermare la produzione stessa e, a tal proposito, un recente studio della Società di consulenza Rystad Energy ha messo in evidenza che la combinazione del Flaring insieme a quello delle perdite è del 30% superiore a quello precedentemente previsto e dichiarato nel solo bacino scistoso del Texas. Un altro studio pubblicato su Science Magazine nel 2018 stima tale percentuale addirittura intorno al 60%.

Ma contrariamente al passato, ora le informazioni sono disponibili grazie alle sempre più sofisticate analisi satellitari che permettono di valutare le perdite di gas dei vari impianti: è così che è stato scoperto che lo scoppio verificatosi il 15 febbraio 2018 nel pozzo di proprietà di una Società controllata dalla Exxon, nell'Ohio, era del tutto fuori da ogni immaginazione.

In quella occasione la Società segnalò l'incidente come una perdita non grave, ma come riportato dal New York Times,  i dati satellitari rivelarono che per tre settimane vennero rilasciati in atmosfera, in soli 20 giorni, più gas di quanto nonrilascino in atmosfera in un anno tutte le industrie petrolifere del gas diFrancia, Norvegia e Olanda messe insieme.

Tale episodio mise in chiara luce la totale inaffidabilità dell'industria, sia per via del sistema basato sulle autodichiarazioni, sia perché in un'industria del fracking non redditizia le problematiche della sicurezza e dell'utilizzo di tecnologie e procedure affidabili è di fatto un tema  poco significativo.

In poche parole i dati provenienti da una recentissima ricerca scientifica pubblicata a Febbraio 2019 su Nature mostra che l'impatto climalterante dell'industria Oil&Gas sia stato sottostimato di almeno il 40% proprio a causa delle scarse conoscenze ed errate valutazioni sul ciclo di produzione del Gas Naturale.

Considerando che nel 2019 l'amministrazione Trump ha proposto di abrogare le norme volte a ridurre le emissioni di metano nell'industria petrolifera e del gas e che ha appena rilasciato autorizzazioni per quattro nuovi impianti di esportazione di GNL nel solo Texas, con una capacità di esportazione "… sufficiente per soddisfare oltre la metà della domanda europea di importazione di GNL", non è difficile pensare che vi potranno essere ulteriori cali di prezzo e che l'eccesso di gas naturale - sia negli Stati Uniti che a livello globale - continueranno a mettere in dubbio la fattibilità economica delle esportazioni statunitensi di GNL. Significa che il prezzo troppo basso rende non remunerativa l'intera industria che attualmente è tenuta in piedi dalle Banche e Fondi di Investimento americani che iniziano a chiedersi se sia opportuno continuare a finanziare tale intrapresa.

Se infatti fino all'anno scorso il GNL ed il Gas Naturale in pipeline era considerato un vettore energetico di transizione verso l'obbiettivo della decarbonizzazione, oggi, come peraltro ammesso anche dagli stessi Media nordamericani, l'impatto sul clima degli impianti di produzione di GNL negli Stati Uniti, dovuto ai rilasci in atmosfera causati non solo da incidenti e limitazioni tecnologico-produttive, rendono il GNL un sostituto del carbone per niente affidabile.

Attualmente, in Texas, il prezzo del gas ha raggiunto prezzi negativi tanto che i produttori o pagano qualcuno per prendersi il gas oppure bruciano o rilasciano deliberatamente in atmosfera il gas metano prodotto in eccesso. La situazione è talmente compromessa che gli Amministratori Delegati delle Aziende del comparto industriale del Fracking ammettono che questa situazione inizia ad interferire pesantemente con l'accettazione da parte dell'opinione pubblica circa l'esistenza dell'industria stessa. E se tali compagnie non saranno più autorizzate a bruciare o rilasciare in atmosfera il gas metano in eccesso saranno costretti a chiudere i battenti a causa dei costi eccessivi.
E poiché le energie rinnovabili sono diventate più competitive in termini di costi, la potente industria petrolifera e del gas sta investendo molto nel tentare di convincere che il gas naturale e il GNL rappresentano "la" soluzione energetica di transizione verso un futuro carbon-free costituito da sole fonti rinnovabili, affermazione che il Rapporto della associazione Food and Water Watch’s (FWW) sembra confutare completamente.

Ecco perché l'Unione Europea, come riportato da Euractiv, sta cercando di quantificare il reale impatto che il GNL prodotto dagli impianti americani ha sul clima, considerando che la tecnologia da essi utilizzata, ossia il Fracking e la perforazione orizzontale, rende impossibile evitare sia la combustione di in grandi quantità del gas appena estratto (Flaring) sia le emissioni accidentali (Leaking) che quelle deliberate (Venting). 

Appare chiaro che se l'analisi dell'Unione Europea si baserà sui dati e non su altre questioni di equilibrio geopolitico, che comunque sarebbero incompatibili con gli obbiettivi di decarbonizzazione dichiarati, il risultato sarà chiaramente che il GNL americano non può permettere all'Europa di diventare entro il 2050 il primo continente clima-neutrale.

Considerando che in Europa, Francia e Spagna rappresentano attualmente le principali vie di esportazione del GNL dagli Stati Uniti e nonostante sia in atto una rivalutazione delle fonti energetiche alternative al GNL anche in quei Paesi, saranno proprio loro ad essere investiti direttamente dall'eventuale crollo per mercato determinato dalle motivazioni su esposte.

A valle di ciò appare ancor più chiaro che qualunque politica locale che intende basarsi sul GNL a basso prezzo come vettore di transizione, senza porsi il problema di progettare da ora il proprio futuro basato totalmente sulle energie rinnovabili, sull'autoproduzione aggregata e diffusa, sulle tecnologie di stoccaggio e sulle smart grids, è di sicuro una politica miope basata sul principio "mors tua vita mea", vincente solo sulla carta, la carta moneta di chi lucrerà sulla creazione delle infrastrutture che non vedranno la luce o che nasceranno morte.

Ci sarebbe da chiedersi, infatti, quale organizzazione investirebbe cifre stratosferiche su un modello di sviluppo energetico che prevede delle infrastrutture la cui ipotesi di validità economico finanziaria sia basata sull'ipotesi killer del protrarsi ancora per 30 anni del basso prezzo del GNL esportato dagli Stati Uniti.

Come pure dovrebbe essere subito chiaro quali ulteriori investimenti saranno necessari per rendere delle infrastrutture di trasporto e distribuzione studiate e realizzate secondo standard industriali rispondenti ai requisiti chimico-fisici del gas naturale (grado di permeabilità dei tubi, tipologia di valvole, macchinari per la creazione delle condizioni opportune di pressione e temperatura) compatibili con altri vettori energetici.

Sia chiaro che in questa sede non si discute la futura fattibilità tecnica della riconversione di una eventuale dorsale di distribuzione del gas naturale, che a oggi vede peraltro una sperimentazione molto limitata, ma se si deve condurre una analisi seria i costi devono essere valutabili già da ora per prendere delle decisioni prudenti.

Altrimenti l'analisi sarebbe del tutto parziale, risulterebbe un esercizio inutile e qualunque decisione in merito sarebbe un salto nel buio che nessuno si può permettere.

Invece, un approccio strategico orientato al progetto del territorio richiederebbe maggiore consapevolezza del fatto che qualsiasi Strategia di Adattamento ai Cambiamenti Climatici di livello locale deve essere di tipo sistemico e dunque non possono essere più tollerati compartimenti stagni disciplinari né visioni "ambientali" avulse dalle questioni della "produzione".

In ultimo tre domande:

Qualcuno ha fatto un'Analisi PESTEL o qualcosa di simile relativamente al tema in questione?

Tale analisi è stata resa pubblica in linguaggio non tecnico?

E' possibile leggerla e discuterla?


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