Il Concetto di Organizzazione - Un Approccio Sistemico per la Pubblica Amministrazione
Tra il 2003 e il 2004 frequentavo il MASTER Universitario di II° Livello in "Management Publico e eGovernment" e tra i numerosi spunti emersi durante il corso, quelli più tangibili sono racchiusi all'interno di alcuni lavori, tra i quali quello che segue. L'articolo, dopo una breve introduzione necessaria a chiarire definizione e concetto di Organizzazione a vari livelli, offre un punto di vista che fa proprio, già da allora, l'attuale abusato paradigma delle Reti Complesse che è servito più a fare business nello sviluppo dei Social Media che per realmente fare grossi balzi in avanti nella pratica del disegno e gestione delle Organizzazioni reali.
Definizione di “Organizzazione”
Se si considerano, tra i tanti possibili punti di vista, uno
di matrice sociologica e l’altro di matrice aziendale, considerabili
rappresentativi di tutti gli altri, sia nella loro differenza che nella loro
complessità, il concetto di organizzazione non appare né banale né tanto meno
facile da sintetizzare.
Il concetto di organizzazione in campo sociologico
Secondo la definizione data nel Dizionario di Sociologia della Gremese-Larousse, “Il termine organizzazione definisce sia un oggetto sociale, sia un problema centrale della sociologia dell'azione. L'oggetto sociale è ben noto: le amministrazioni pubbliche, le imprese industriali, commerciali e di servizi come i partiti politici e le associazioni d'ogni sorta — di cui siamo allo stesso tempo salariati, membri e/o militanti e clienti — sono tutte organizzazioni, ossia insiemi umani ordinati e gerarchizzati, miranti ad assicurare la cooperazione e il coordinamento dei propri membri per il raggiungimento di determinati obiettivi”.
E ancora: “A seconda degli obiettivi, i meccanismi costrittivi attuati al loro interno e i modi di legittimazione dell'autorità, queste organizzazioni sono molto diverse tra loro ed hanno caratteristiche e modalità di funzionamento dissimili che possono classificarsi in differenti tipologie. Tutte però, al di là di queste differenze, hanno un "problema" in comune: quello di ottenere dai loro membri il minimo di cooperazione indispensabile alla propria sopravvivenza”.
E ancora: “A seconda degli obiettivi, i meccanismi costrittivi attuati al loro interno e i modi di legittimazione dell'autorità, queste organizzazioni sono molto diverse tra loro ed hanno caratteristiche e modalità di funzionamento dissimili che possono classificarsi in differenti tipologie. Tutte però, al di là di queste differenze, hanno un "problema" in comune: quello di ottenere dai loro membri il minimo di cooperazione indispensabile alla propria sopravvivenza”.
Da
questa definizione emerge un alto grado di complessità e il
riconoscimento che l’organizzazione “[…] non è un elemento naturale, ma un
fatto da spiegare in quanto suppone sempre l'instaurazione e il
mantenimento di un minimo di cooperazione tra attori che tuttavia conservano la
propria autonomia individuale e i cui interessi non sono necessariamente
convergenti”.
L’esplicitazione del punto di vista raggiunge il grado
massimo nello stabilire che un’organizzazione non solo ha un carattere non
naturale, ma essa deve costruirsi
e mantenersi in un contesto nel quale i membri “[…] non sono mai totalmente dipendenti gli uni dagli altri ma conservano
sempre un margine di libertà che cercano di salvaguardare, o di ampliare, in
quanto essa costituisce comunque la base stessa della loro capacità di azione
nell'organizzazione”; si comportano “secondo
le visioni locali e parziali, che sono le sole di cui siano capaci e che
nessuna razionalità superiore e inglobante fa coincidere spontaneamente”;
ricercano il proprio interesse personale entrando in concorrenza e mettendo in
crisi gli scopi stessi dell’organizzazione che “[…] hanno una capacità d'integrazione limitata in quanto non godono di
esistenza autonoma ma entrano in concorrenza con gli obiettivi che i membri
dell'organizzazione sviluppano […]”.
Questi
tre aspetti dell’interdipendenza limitata (Crozier, Friedberg 1977),
della razionalità limitata (March, Simon 1958) e della legittimità
limitata (Silverman 1970) permettono ancora di precisare che “[…] una organizzazione e la propria modalità di
funzionamento appaiono non come il prodotto meccanico di un insieme di ingranaggi
perfettamente agganciati gli uni agli altri e mossi da una razionalità unica,
ma come il risultato di una strutturazione contingente di un campo di
acquisizione [e che] una volta istituita, essa
sviluppa una dinamica autonoma in quanto le sue caratteristiche inducono
effetti non voluti sui comportamenti dei membri dell'organizzazione che a loro
volta determinano il mantenimento, se non addirittura l'accentuazione, delle
caratteristiche primarie”.
Questa
definizione, focalizzata esclusivamente all'ambiente interno del “fenomeno”
organizzazione necessità di ulteriori approfondimenti su ed integrazioni al
fine di costruire un quadro concettuale più aderente ad una realtà che vede le
organizzazioni a diverse scale operare all'interno di un ambiente che può
risultare più un astrazione che una realtà chiaramente identificabile: la cosiddetta Società dell’informazione.
Il concetto di organizzazione in campo aziendale
Evoluzione storica
Evoluzione dell’organizzazione nella
Pubblica Amministrazione Italiana
Questa spinta però apre diversi problemi ben noti sia relativamente alle modalità del cambiamento (miglioramento continuo o per innovazione?) che alla resistenza riscontrabile fisiologicamente nelle organizzazioni dove l’incertezza, la paura di ciò che è diverso, il timore di perdere potere e anche del possibile incremento del carico di lavoro, innescano dinamiche che possono essere affrontate solo con un reale progresso culturale. Infatti ciò che viene chiesto oggi alla PA non è un cambiamento organizzativo che sposti l’attuale baricentro in una “nuova posizione di equilibrio” ma la presa di coscienza che il miglioramento continuo richiede la capacità di affrontare un continuo aumento della complessita con la definizione di nuove configurazioni di ordine del sistema coniugando i principi non solo dell’efficienza, efficacia e trasparenza, ma anche della Qualità dell’azione amministrativa.
Segnali di cambiamento e nuove opportunità
“Non bastano leggi d’avanguardia, il problema è riuscire ad applicarle”
Un approccio sistemico per l’innovazione della PA
Come
detto in precedenza le attuali teorie più avanzate fanno largo uso della
metafora dell’impresa come organismo biologico. Questo significa che in essa
(in quanto struttura dissipativa) ripetuti cicli di retroazione e
autoamplificazione portano il sistema stesso in uno stato di non equilibrio
detto punto di biforcazione. Tale configurazione comporta l'indeterminatezza
sullo stato successivo che però può favorire l’emergere di nuove e spontanee
forme di ordine che conducono allo sviluppo e all’evoluzione
dell’organizzazione.
Il concetto di organizzazione in campo aziendale
Riflettendo ancora sul concetto di organizzazione è
necessario affrontare oltre a quella sociologica anche la dimensione
“operativa” e disciplinare per la quale è utile fare riferimento a quanto pubblicato sul Dizionario della Qualità
curato da Piero De Risi che definisce quella delle organizzazioni come: “[…] disciplina e attività finalizzate alla individuazione della
struttura organizzativa, del livello di autonomia decisionale di ciascun
operatore, nonché del suo potere di influenzare il comportamento degli altri e
di una serie di meccanismi tra loro coerenti, che permettano un efficace
funzionamento della struttura e l'integrazione tra risorse umane e mezzi
tecnici, compatibilmente con la dinamica evolutiva dell'ambiente esterno”.
L’organizzazione
non solo è un fenomeno da osservare ma è allo stesso tempo disciplina,
attività, struttura. Combinazione di risorse umane, mezzi tecnici e processi
interni ed esterni. Dunque la dimensione operativa permette di aprire il unto
di vista all'ambiente esterno alle organizzazioni. Approfondendo viene spiegato come per organizzazione
si intenda anche “[…] la scienza che
studia i criteri di divisione e specializzazione, orizzontale e verticale del
lavoro, di ripartizione di responsabilità e autorità, nonché i meccanismi di
collegamento e coordinamento tra le persone che fanno parte di un'azienda o di
altri organismi istituiti in vista della realizzazione di uno scopo comune.
L'organizzazione consente, in altre parole, di studiare la coordinazione delle
varie funzioni, soprattutto con riferimento al capitale umano, e i rapporti tra
i vari ruoli all'interno dell'azienda; l'essenza dell'organizzazione
è dunque rappresentata da un insieme sinergico e coordinato di ruoli, che
consente all'azienda di perseguire il suo fine e gli obiettivi strumentali ad
esso (mission). La percezione del problema organizzativo emerge a
un certo livello di attività, oltre il quale si ha la necessità di ripartire i
compiti tra differenti persone e coordinarne il lavoro in modo da rispettare i
criteri di efficienza ed efficacia”.
Appare
evidente dunque che è il crescente livello di complessità di un nucleo minimo
di persone almeno identificabili come “gruppo di lavoro” che persegue degli scopi
(sul livello di conoscenza, e condivisione delgi scopi …) che fa emergere la
necessità di affrontare temi di chiaro interesse scientifico che studiati solo
da un punto di vista delle scienze economiche o sociali rischia di essere
pericolosamente semplificato. Infatti, come noto, scienze economiche e sociali
hanno da sempre attinto dai principi della fisica e poi della chimica leggi e
costrutti teorici pericolosamente adattati a sistemi che poco hanno a che fare
con la meccanica e la termodinamica classica. Bisogna osservare che ancora
questa definizione non contempla affatto il concetto di rete come schema di
organizzazione dei sistemi viventi.
Nell’emergente
teoria dei sistemi viventi e con gli studi di Nicklas Luhmann che per primo ha
elaborato il concetto di “autopoiesi sociale” si fa spazio l’idea che è
possibile definire una rete sociale come autopoietica a patto che la
descrizione dei sistemi sociali umani rimanga completamente all’interno della
sfera sociale (Capra, 1996). Luhmann identifica nel processo di comunicazione i
processi per eccellenza che contraddistinguono una rete autopoietica sociale.
Evoluzione storica
Ma
se facciamo un passo indietro, possiamo ben vedere che sia il concetto di
organizzazione che la disciplina organizzativa, della quale Taylor è
considerato il padre fondatore, nascono in ambito aziendale. Durante le sue
osservazioni Taylor constatò come anche se le moderne fabbriche rappresentavano
dei sistemi costruiti con l’obiettivo di massimizzare il profitto con il minimo
sforzo fosse invece minima la "scientificità" nell'utilizzo delle
risorse nelle unità produttive. Questo fatto gli suggerì la possibilità di
applicare criteri scientifici anziché empirici. All’epoca la visione del mondo
era condizionata dal meccanicismo classico incarnato nella scienza economica
che aveva fondato le proprie teorie e la propria fortuna sul paradigma della
meccanica classica. Secondo le teorie dominanti, note sotto il nome di Teoria
Economica Classica, il comportamento umano è riconducibile a dei modelli
razionali e prevedibili (homo oeconomicus) e i problemi organizzativi
(produzione, profitto) possono essere ridotti a delle funzioni da massimizzare:
l’obiettivo
comune era l'aumento delle quantità prodotte, e in funzione di tale obiettivo
era utilizzata la risorsa umana.
Il
modello dunque risultava basato su criteri scientifici universali e poteva
essere applicato a qualsiasi tipo di azienda indipendentemente dalla
dimensione, dal settore di appartenenza o da altre situazioni particolari.
L’organizzazione
per Taylor risulta essere un sistema meccanico in equilibrio nel quale gli
individui sono ingranaggi del sistema stesso e questa visione non è stata superata
neppure quando negli anni venti ci si iniziò ad interrogare sugli aspetti
psicologici e sociali del lavoro nelle fabbriche.
L’irrompere
a partire dagli anni quaranta nella Cibernetica di Wiener dei concetti di
“retroazione”, “autoregolazione” e infine di “auto-organizzazione” nato
dall’individuazione della “rete” come schema generale della vita; gli studi
elaborati sulle reti binarie di McCullogh e Pitts, il concetto di “sistema
aperto” introdotto da Von Bertalanffy, portarono negli anni ’60, il chimico e
fisico di origine russa Ilya Prigogine, padre degli studi sulle strutture
dissipative, alla intuizione secondo la quale per descrivere sistemi lontani
dall’equilibrio è necessario far ricorso a equazioni non lineari.
Egli
dimostrò che nelle strutture dissipative l’introduzione di energia
dall’esterno favorisce processi di retroazione ad amplificazione che producono
nuovo ordine e maggiore complessità mentre dalla cibernetica (che non aveva
superato la termodinamica classica) erano sempre stati considerati
distruttivi.
Parallelamente
a questi studi Bateson da una parte e Maturana e Varela dall’altra lavoravano
sulle modalità cognitive dei sistemi viventi arrivando alla conclusione
rivoluzionaria che la mente non è una cosa ma è un processo definibile come
cognizione ossia il processo della conoscenza e dell’apprendimento che a sua
volta si identifica con il processo stesso della vita. Viene così superato il
modello computazionale dell’attività mentale secondo il quale il cervello è uno
strumento che elabora l’informazione.
Questa
evoluzione ha permesso di superare i postulati della teoria economica classica
permettendo un allargamento di prospettiva e ponendo le basi per la
sostituzione del modello "meccanico" con l’attuale che considera il
funzionamento dell'azienda in modo "organico" (cioè in analogia con
gli organismi viventi) e "sistemico" (per cui la risultante
dell'attività aziendale è maggiore della somma dei risultati prodotti dalle sue
singole parti). La considerazione dell’azienda come sistema aperto, permette
di individuare i flussi di relazioni sia con i mercati di sbocco e di
acquisizione dei fattori della produzione, quanto con l'ambiente economico,
sociale, culturale e politico-legislativo in cui l'unità stessa è inserita.
Il
continuo interscambio di risorse e informazioni, ma anche di valori e
aspettative tra l'impresa e il suo ambiente, ne condiziona l'assetto
organizzativo così come le strategie e la tecnologia in uso. È tuttavia
verosimile ritenere l'esistenza di un rapporto inverso, secondo il quale una
certa configurazione organizzativa favorirebbe o ostacolerebbe, a seconda dei
casi, la realizzazione delle strategie aziendali, l'efficace utilizzo di una
certa tecnologia, la percezione di rischi e opportunità ambientali.
Mentre
Taylor postulava il concetto di one best way ora si considera quello di one
best fit, ossia un approccio che prefigura l'adozione della soluzione
organizzativa ritenuta più adatta nel contesto in cui si opera. Attualmente
sulla base di una molteplicità di soluzioni
organizzative riconducibili ad alcuni modelli ideali, si ritiene fondamentale
prestare attenzione a delicati fattori quali la dinamica ambientale e
tecnologica, le peculiarità territoriali e la specifica realtà aziendale
interna al fine di contestualizzare metodi e tecniche di intervento
organizzativo. Inoltre gli sviluppi della teoria hanno portato a un
approfondimento del ruolo del fattore umano e a una considerazione più attenta
dei suoi bisogni e delle sue motivazioni. L'individuo comincia ad essere
considerato non più come mero prestatore di energia fisica, ma anche in veste di
controllore di strumenti; successivamente, divengono preponderanti i compiti di
regolazione dei processi produttivi e l'attribuzione di responsabilità
decisionali.
L'evoluzione
del pensiero organizzativo ha poi condotto verso un bilanciamento tra le
diverse prospettive, così come all'elaborazione di principi fondamentalmente
basati su un equilibrio tra attenzione alle persone e attenzione ai risultati
economici e sociali dell'attività d'impresa. In particolare, la recente
introduzione di un'ottica ispirata alla qualità ha messo in evidenza la
centralità del fattore umano nel perseguimento della soddisfazione del cliente
(customer satisfaction) e nella costruzione del vantaggio
competitivo aziendale. La crescente domanda di flessibilità sembra invece
potersi soddisfare mediante la progettazione di strutture essenziali e snelle (lean
organization) e l'utilizzo di forme reticolari che privilegino lo
scambio di informazioni, l'apprendimento diffuso e la condivisione delle
conoscenze sviluppate.
Tra
le leve organizzative a disposizione del management assume un ruolo di primo
piano la gestione delle risorse umane, oggi chiamata a responsabilità
che vanno ben oltre i suoi classici contenuti amministrativo-burocratici. Si
configura infatti come attività strategica collegata alla progettazione
strutturale, orientata alla ricerca della soddisfazione congiunta di obiettivi
personali e aziendali, nonché alla valorizzazione completa delle capacità e
delle doti personali.
Un ruolo altrettanto importante è occupato dalla struttura organizzativa, che definisce
i criteri in funzione dei quali il lavoro è diviso e coordinato, le
responsabilità assegnate e l'autorità conferita a ciascuna posizione. Il
funzionamento della struttura è assicurato dai cosiddetti ''meccanismi
operativi": il sistema informativo e delle decisioni, il sistema di
pianificazione e controllo, i meccanismi di integrazione e coordinamento. Sono
inoltre da considerare lo stile di direzione, intimamente collegato allo
sviluppo di capacità di leadership,
e la cultura organizzativa, il cui ruolo è andato accentuandosi di pari
passo con la crisi dei modelli organizzativi rigidamente imperniati sui
principi di gerarchia e autorità. Le variabili organizzative sono
caratterizzate da un grado di formalizzazione più o meno elevato, che varia
secondo le possibilità di applicare modelli standard, di pervenire a una
strutturazione anticipata dei processi aziendali, di misurare i risultati dell'attività
svolta. La formalizzazione della struttura e dei meccanismi operativi è in
genere correlata positivamente con la dimensione aziendale e con la volontà di
attribuire alle variabili in esame carattere di chiarezza e prevedibilità di
funzionamento.
Evoluzione dell’organizzazione nella
Pubblica Amministrazione Italiana
Se mettiamo a confronto l’evoluzione del concetto di
organizzazione fino ai giorni nostri e gettiamo uno sguardo al modello seguito
dalla Publica Amministrazione (PA) in Italia si possono porre almeno due
domande: è possibile intravvedere nella riforma della la PA lo stesso percorso
evolutivo dal punto di vista organizzativo così come nel campo delle aziende
private? È possibile paragonare l’organizzazione della PA a quella delle
aziende private?
Dalla
riforma cavouriana lo Stato ha ampliato la propria influenza nel campo dei
diritti sociali entrando in terreni prima di competenza assoluta
dell'iniziativa privata registrando via via un allargamento della propria struttura
burocratica della pubblica amministrazione. Secondo il paradigma Tayloriano ad
una sempre maggiore domanda di erogazione di servizi da parte della società si
è provveduto ad accresce le dimensioni e il numero delle strutture già
esistenti perpetuando un modello uguale a tutte le scale indipendentemente
anche dal contesto locale a discapito della ricerca di più adeguate formule di
organizzazioni amministrative anche e soprattutto dal punto di vista
qualitativo.
Questo
sistema inizia a vacillare quando, gia a partire dagli anni settanta, di fronte
agli squilibri che affliggevano lo Stato sociale e alla richiesta di
assicurare un uguale trattamento a tutti i cittadini, l'organizzazione della
pubblica amministrazione dispiega una struttura sempre più complessa e articolata
senza essere capace di spostarsi dalla vecchia esigenza di rispettare l’aspetto
formale dell'atto amministrativo (stato di diritto) a quella di assicurare il soddisfacimento dei bisogni
"sociali" del cittadino (stato sociale).
Quindi
ad un mutamento degli scopi, o come si direbbe in campo aziendale della
mission, sul piano pratico-funzionale l'apparato burocratico della pubblica
amministrazione (quale strumento amministrativo atto alla realizzazione dei
programmi) è rimasto invariato, radicato sui vecchi principi e incapace di
convertire la propria struttura e le proprie funzioni alle nuove finalità
imposte dal cambiamento sociale creando un reale problema di ammodernamento
organizzativo.
L’esperienza
attuale, anche alla luce della forte accelerazione impressa dal programmi di
e-government, con il conseguente irrompere dell’uso massiccio delle tecnologie
ICT, chiede insistentemente che la pubblica amministrazione muti la propria
organizzazione dall’attuale rigido rapporto gerarchico, nel quale le
responsabilità si disperdono e diventa difficile l’individuazione di un
referente, ad una basata su precisi programmi e obiettivi il cui raggiungimento
sia verificabile costantemente, sia dal punto di vista dell'efficienza che
dell'efficacia e dove il soddisfacimento dei bisogni del Cittadino sia
l’obiettivo fondamentale da raggiungere.
Questa spinta però apre diversi problemi ben noti sia relativamente alle modalità del cambiamento (miglioramento continuo o per innovazione?) che alla resistenza riscontrabile fisiologicamente nelle organizzazioni dove l’incertezza, la paura di ciò che è diverso, il timore di perdere potere e anche del possibile incremento del carico di lavoro, innescano dinamiche che possono essere affrontate solo con un reale progresso culturale. Infatti ciò che viene chiesto oggi alla PA non è un cambiamento organizzativo che sposti l’attuale baricentro in una “nuova posizione di equilibrio” ma la presa di coscienza che il miglioramento continuo richiede la capacità di affrontare un continuo aumento della complessita con la definizione di nuove configurazioni di ordine del sistema coniugando i principi non solo dell’efficienza, efficacia e trasparenza, ma anche della Qualità dell’azione amministrativa.
Segnali di cambiamento e nuove opportunità
Il
tema del cambiamento ed innovazione nell’organizzazione della PA viene
affrontato a partire dagli anni ’90 con una serie di "passi
legislativi" che ne ridisegnano gli obiettivi, le funzioni e gli schemi
ormai invalsi da decenni secondo uno schema di fondo che prevede l’evoluzione
dello stato unitario in uno stato federale.
Si
pensi alla Legge 142/90 che
riforma gli Enti Locali riconoscendogli per la prima volta autonomia statutaria; la Legge 241/90 sul
procedimento amministrativo che stabilisce i principi di economicità,
trasparenza, efficacia dell’azione amministrativa oltre a definire il sistema
degli strumenti di controllo e il diritto di informazione e di accesso ai
documenti da parte dei cittadini. Seguono le Leggi Bassanini delle quali la
prima, la Legge 59/97, già contiene riferimenti rivoluzionari
come la firma digitale con la conseguente equiparazione del documento
elettronico con quello cartaceo oltre a disegnare le prime deleghe dal Governo
agli EELL; la Legge 127/97 sulla semplificazione dell’attività
amministrativa che introduce i concetti
di sussidiarietà, differenziazione e di adeguatezza; la Legge 50/99
(Legge di semplificazione del 1998) sulla delegificazione e testi unici di
norme concernenti procedimenti amministrativi e ancora la Legge 265/99
sulla delega della potestà regolamentare. Nel 2000 vede la luce la Legge
150/2000, sulla comunicazione pubblica, che segna la presa di coscienza
sull’importanza della comunicazione istituzionale come processo fondamentale
dell’attività amministrativa[2]; segue il D.Lgs 267/2000,
“Testo Unico degli Enti Locali”, primo atto di semplificazione e delegificazione;
la Legge 340/2000 (Legge di semplificazione del 1999). Segue il
passaggio importantissimo sul cammino delle riforme con la Legge 3/2001
di riforma Titolo V della costituzione che ha legittimato i principi di
sussidiarietà, differenziazione adeguatezza. Sempre nel 2001 viene emanato il D.lgs
165/2001, Testo unico delle norme generali sull'ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche che permette di cogliere le
specificità locali al fine di contestualizzare le norme di riorganizzazione al
fine di rafforzare l’autonomia delle PAL.
A questo cammino di innovazione si affianca quello
altrettanto importante di riforma del pubblico impiego. In base alla Legge
delega 421/1992 è stato emanato il D.Lgs 29/1993, “Testo
Unico sul Pubblico impiego” che innova anche l’accesso al pubblico impiego che
affianca al principio sancito dal comma 3 dell’art.97 della Costituzione per il
quale si rende necessario il concorso pubblico il dovere dell’Amministrazione
locale di emanare un regolamento per le modalità di selezione.
Da queste norme emerge anche la profonda riforma della
figura del Dirigente per la quale è stata prevista l’unificazione del ruolo in
due fasce - dirigente generale e dirigente – e incarichi a tempo determinato rispettivamente di 3 e 5
anni e lavoro per obbiettivi. Già il D.lgs
165/2001 configurava il Dirigente come manager per il quale l’incarico può
essere revocato in mancanza di raggiungimento degli obbiettivi. La Legge
145/2002 (legge Frattini) innova ulteriormente la figura del dirigente al
quale viene riconosciuta la possibilità di delegare, con provvedimento scritto
e per ragioni comprovate, alcune sue funzioni a tempo determinato. L’incarico
può essere revocato non solo per mancato raggiungimento degli obbiettivi ma
anche per inosservanza delle direttive. L’accesso agli incarichi dirigenziali è
regolato per concorso pubblico o anche per corso concorso. E ancora è stata
istituita la mobilità tra lavoro pubblico e privato: il dirigente può chiedere
di svolgere la propria prestazione fino a cinque anni nel settore privato per
acquisire le logiche gestionali delle aziende private da portare poi
all’interno dell’amministrazione pubblica. Il trasferimento temporaneo per la
sua durata non vale ai fini previdenziali. In quel tempo il dirigente mantiene
il suo posto di lavoro essendo pagato parte dallo stato e parte dal privato.
Un altro passo lo compie la Legge 662/1996 che
stabilisce la possibilità per i dipendenti pubblici di svolgere attività
part-time e lavorare anche per un aziende private senza che l’opera prestata
entri in conflitto con l’amministrazione pubblica.
Non
si può dimenticare l'attuale progressiva privatizzazione degli enti ed ex
aziende a partecipazione statale che segna un ridimensionamento dell’area d'intervento,
tendenza inversa rispetto a quella già citata degli anni Settanta.
Ciò
che ha comportato un’ulteriore scossa nei processi di innovazione è il
provvedimento che segna la partenza della prima fase del piano di e-government
e cioè il DPCM 14 febbraio 2002 seguito dall’avviso per la selezione di
proposte per progetti di e-government del 4 aprile 2002.
La
strategia complessiva è contenuta nei documenti noti come “Linee guida del
Governo per lo sviluppo della Società dell’Informazione nella Legislatura” e "L'e-government per un federalismo
efficiente: una visione condivisa, una realizzazione cooperativa",
quest’ultimo condiviso con le Autonomie Locali ed entrambi pubblicati nel
giugno 2002.
Al
di la dei 10 obiettivi di legislatura, fissati dal Comitato dei Ministri per la
Società dell'Informazione, il Ministro per l'Innovazione e le Tecnologie ha
fissato con apposite Direttive (febbraio 2002, “Linee Guida in materia di
digitalizzazione dell'amministrazione per il 2002”; dicembre 2002, individua
per ciascuno dei 10 obiettivi da realizzare nel corso della legislatura, un
indicatore di risultato "verificabile" e da raggiungere già nel 2003;
dicembre 2003, "Linee guida in materia di digitalizzazione
dell'amministrazione per l'anno 2004") gli obiettivi e le linee di
intervento gli anni 2002, 2003 e 2004 al fine di stimolare e agevolare il
raggiungimento di concreti risultati già nel breve termine, dando così
visibilità al processo di riforma in atto e innescando un meccanismo virtuoso
con tutte le Amministrazioni.
Sempre
nel 2003 con la pubblicazione del documento “L’e-government nelle regioni e
negli enti locali: seconda fase di attuazione. Obiettivi, azioni e modalità di
attuazione.” è stata inaugurata quella che viene definita la seconda fase
dell’e-government.
I
settori di intervento prioritario da realizzare nel 2004, come specificati nel
documento, sono i seguenti:
q disponibilità in rete di
tutti servizi prioritari per cittadini e imprese;
q accessibilità dei siti
internet della P.A.;
q utilizzo obbligatorio del
protocollo informatico per tutte le amministrazioni assicurando la trasparenza
amministrativa;
q diffusione della posta
elettronica e dell'utilizzo dei documenti elettronici (efficienza
amministrativa);
q distribuzione ai dipendenti
pubblici di carte elettroniche multiservizi
q sicurezza ICT: adeguamento
delle strutture informatiche almeno ai livelli minimi di sicurezza
q sviluppo delle competenze:
programmi di formazione on line secondo nuove disposizioni normative (prossima
pubblicazione di linee guida e vademecum)
Le esperienze positive di alcune Regioni danno segnali
incoraggianti sulla bontà della strada seguita ma se da un lato il livello di
informatizzazione complessivo con la messa a regime dei progetti di
e-government del primo avviso sembra crescere sensibilmente poche notizie si
hanno sul reale impatto organizzativo sugli Enti Locali coinvolti nei “134
cantieri di innovazione”.
“Non bastano leggi d’avanguardia, il problema è riuscire ad applicarle”
Nel
1999 Franco Carlini, nel numero monografico 19 di Telèma dal titolo “Burocrazia
elettronica – Società più civile”, scriveva: “Il processo di rinnovamento della nostra Pubblica Amministrazione sta
cominciando a dare qualche frutto. Ma troppo spesso l’opera di riforma incontra
difficoltà impreviste. Ne è un esempio la legge sulla firma digitale: varata
nel marzo 1997, sono stati approvati anche tutti i necessari regolamenti di
attuazione, eppure fino a oggi non esiste acun contratto stipulato in questo
modo”. Nell’articolo individuava
quelli che potevano essere definiti i “motori del cambiamento”: l’essere
costretti a recepire le direttive dell’unione Europea che richiedono mutamenti
radicali e l’azione consapevole degli ultimi governi succedutisi fino ad allora
che avevano impostato un processo capace di offrire alla PA l’opportunità di
cambiare in una logica di servizio al cittadino anche se “[…] il legislatore ed i governi si accontentano
di fare norme, anche molto avanzate, e, avendole fatte, si illudono di avere
fatto il loro dovere e completata l’opera di riforma”. Questa affermazione
si allaccia alla questione culturale e per affrontarla sceglie di analizzare le
esperienze della PA nell’uso del canale Internet per autorappresentarsi
concentrando l’attenzione su tre questioni: identità, chi sono e come mi
racconto; interazione, cosa e qual è il modo migliore per comunicarlo; riorganizzazione,
la rete mi impone di mutare schemi mentali e modalità operative.
In
realtà anche in presenza di leggi d’avanguardia e di contesti culturali fertili
per l’attuazione delle stesse inevitabilmente si producono situazioni di
rigidità che possono essere superati seguendo l’esempio statunitense dei
“laboratori della riorganizzazione” e quello britannico dei “laboratori
didattici” nei quali il personale si riunisce per trovare modi nuovi per
aggirare le “regole tradizionali” che frenano l’innovazione (Holmes, 2002).
Questo inizia a segnare anche il confine netto tra azienda privata e Pubblica
Amministrazione: l’azienda privata ha per sua natura una spinta vitale a mutare
i propri statuti interni nonché metodi e regole operative al fine di
conservarsi e rimanere competitiva nel mercato (vivere o morire), mentre per la
PA oltre ad esistere dei vincoli interni ben noti sia di natura legislativa che
regolamentare non si può applicare il concetto vivere o morire (anche se le
ultime vicende di accorpamento degli istituti scolastici nei piccoli comuni lo
smentisce). Se la forza vitale dell’azienda privata è la ricerca del profitto,
la PA potrebbe ricercare nell’empowerment della propria tensione etica
messa al servizio del cittadino la “spinta vitale” che gli consenta il
mutamento culturale di cui ha bisogno. La proiezione della PA nella “realtà aumentata” (Tagliagambe, 1997)
apre nuovi promettenti opportunità che però, per dirla alla maniera di Carlini,
“[…] comporta una serie di domande e di interrogazioni eventualmente
dolorose su se stessi e sulla propria ragione sociale (quella profonda, non
quella scritta negli statuti)”. Il Sito Web non è più la vetrina ma lo
specchio dell’organizzazione che lo usa per autorappresentarsi.
Un approccio sistemico per l’innovazione della PA
Al
fine di individuare possibili forme di evoluzione della organizzazione della PA
si potrebbe prendere in considerazione il modello “Small World” teorizzato da
Watts nel 1999 che partendo dai risultati di alcuni modelli matematici
definisce le organizzazioni come reti di persone all’interno e tra le quali si
individuano due tipologie: le reti ordinate, nelle quali ogni nodo ha lo
stesso numero di legami che lo collegano a un
numero ristretto di nodi vicini dando luogo ad una configurazione
raggruppata; e le reti casuali o caotiche nelle quali ogni nodo è
connesso arbitrariamente ad altri nodi presenti ovunque (Bracco, 2002). I
sistemi complessi sono riconoscibili perché situati tra questi due estremi e
nei quali la regolarità delle connessioni è interrotta ogni tanto da un certo
numero di scorciatoie (shortcuts) come mostrato nella figura.
Il modello degli Small World è un'interessante applicazione
di sistema complesso, grazie al quale è possibile rappresentare le dinamiche di
interazione all'interno di reti o sistemi di relazioni sociali in cui numerosi
elementi sono collegati da relazioni comunicative. La sequenza più o meno
uniforme dei legami fra gli elementi ne definisce la regolarità e il
raggruppamento (clustering) in insiemi di interazione mentre le
deviazione dalla regola di distribuzione tra le relazioni nella rete si
manifesta sotto forma di salti comunicativi fra gli elementi, per cui anche
nodi lontani fra loro, facenti parte di diversi cluster, possono legarsi
mediante una scorciatoia comunicativa (shortcut) come illustrato in
figura (Bracco, 2002). I passaggi da A a C in un sistema regolare sono cinque
(A A’
B B’ B’’
C), si riducono a tre in uno SW (A
A’ B C) grazie alla scorciatoia che collega B con
C, mentre sono due in una rete casuale (A
B C).
Se ora consideriamo due cluster nei quali possiamo
ipotizzare che il raggruppamento fra elementi avvenga per vicinanza fisica
(condividere gli stessi spazi o territori), condivisione culturale,
intellettuale, di status sociale, per età, genere, affinità personali, ecc.
possiamo considerare meno frequente l'interazione con altri cluster diversi. Il
legame con altri gruppi non sarà diretto, ma mediato da terzi che intrattengono
relazioni con entrambi i cluster “[…] Il
modello sembra descrivere efficacemente lo sviluppo dei contatti all’interno di
reti di comunicazione e sarebbe interessante approfondire l’analisi sul ruolo
delle emozioni nella creazione di “scorciatoie” comunicative che facciano
emergere caratteristiche adattative tipiche dei sistemi complessi. Si pensi a
un gruppo di lavoro in cui la comunicazione debba essere gestita bilanciando la
situazione tra il caso e la regolarità assoluti, tra l’eccessiva flessibilità e
la rigidità burocratica. Il modello Small World sarebbe ideale per aumentare
l’efficacia dell’organizzazione nella gestione di situazioni complesse e a
fronte di rapidi cambiamenti ambientali” (da Bracco, 2001 cit. in Bracco
2002).
Appare chiaro che la possibilità di effettuare questi salti
comunicativi aumenta esponenzialmente in presenza di dirigenti/manager capaci
di affrontare cambiamenti alimentati da trend irreversibili rimettendosi in
discussione per decostruire e ricostruire schemi di riferimento e nuovi modelli
(Carmignani, 2004). Questa figura emerge ancor di più quanto maggiormente sarà
in grado di manovrare la leva della conoscenza e della creatività promuovendo
l’empowerment dei knowledge workers già presenti all’interno
dell’organizzazione (Prandstraller, 2004).
“Le organizzazioni,
incluse quelle non economiche, dovranno quindi sperimentare nuovi modelli
organizzativi “ibridi” definendo parallelamente nuove strutture e nuovi compiti
per i manager. Per il resto possiamo
tranquillamente aspettarci che il cambiamento si presenterà con caratteristiche
inattese” (Carmignani, 2004).
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Bracco F. (2002), "Organizzazioni e sistemi: metafore e riflessioni sulla complessità", in Ticonzero n°31, www.sdabocconi.it/ticonzero
Fichera G. (2002), "Alcuni modi per descrivere, individuare e applicare la complessità", in Ticonzero n°28, www.sdabocconi.it/ticonzero
Carmignani M. (2004), "L'organizzazione liquida", in NEXTonline n° 18, www.nextonline.it
Prandstraller G. P. (2004), "Più potere ai Knowledge workers", in NEXTonline n° 18, www.nextonline.it
Barbarino F. (2001), UNI EN ISO 9001:2000. Qualità, sistema di gestione per la qualità e certificazione, Il Sole 24 ORE, Milano
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De Mauro T. (1999), "Se usiamo il vocabolario di base diciamo tutto e ci facciamo capire", in Telèma n°19, www.fub.it/telema
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