Il progetto ambientale dello spazio in situazioni di bordo: interpretazioni e approcci locali



Quello che segue, più che la descrizione e discussione di due casi di studio, è il resoconto di due esperienze dirette di progettazione orientata in senso ambientale all'interno dell'Area Metropolitana di Cagliari, in Sardegna, che mette insieme teoria nell'azione, pratica e successiva rielaborazione teorica, al fine di offrire  alcune riflessioni sulle aree di bordo assunte come luoghi di particolare complessità.
In particolare, si è cercato di individuare i requisiti che orientano l’attività di progetto in aree di bordo fisico in un caso inteso come frontiera, interfaccia e transizione, e nell’altro come spazio interstiziale e luogo del “non progetto” interno al tessuto urbano.
I due casi di studio mostrano una tensione verso il progetto collettivo di aree apparentemente 
dimenticate, ma che, per le modalità di elaborazione e per i contenuti progettuali, si propongono come generatori di qualità urbana in riferimento all’intero campo metropolitano, in un nuovo spazio di relazione esteso alla dimensione sovralocale.
Le situazioni di bordo emergono e si configurano come spazio relazionale avente una dimensione fisica in cui sperimentare, secondo modelli di ibridazione della conoscenza, nuove forme di urbanità e di appropriazione da parte delle società locali, attivando processi in cui i cittadini diventano attori principali e non spettatori passivi, oltre che opportunità di rigenerazione degli strumenti e delle tecniche disciplinari.
Quanto riportato è un riadattamento personale dell'articolo originariamente pubblicato nel 2006 a firma congiunta con Luca Caschili durante il mio Dottorato di Ricerca per la Casa Editrice FrancoAngeli di Milano, all'interno del Volume dal titolo "Il Progetto Ambientale in Aree di Bordo" a cura di Giovanni Maciocco e Paola Pittaluga.



1.  Significato, tipologie e interpretazioni relative al concetto di "bordo" in ambito spaziale

 Il concetto di bordo[1], così come sembra emergere dalla esplorazione della lettura relativa ad a ricerche ed esperienze progettuali concrete in contesti classificabili come aree di bordo, appare sfumato, non univoco e aperto a numerose interpretazioni che rappresentano, di volta in volta, molteplici chiavi di lettura della realtà dei luoghi. 
Tali chiavi di lettura permettono una utile riflessione necessaria per orientare l’azione progettuale intesa non solo come semplice trasformazione dello spazio fisico, ma come percorso esperenziale di una società locale impegnata nel riorganizzare il proprio spazio di vita attraverso forme di progetto collettivo[2].

Ci si riferisce ad aree di bordo quando il concetto viene declinato secondo connotazioni quasi esclusive dello spazio fisico in stretta connessione con altre accezioni note come quelle di terrain vague[3] e di wasteland[4] ossia spazi fisici nei quali emergono assenza e degrado; in altri casi risulta più appropriato riferirsi a situazioni di bordo quando la declinazione si arricchisce di sfumature più complesse, e forse più promettenti, per affrontare il progetto della città.
In entrambi i casi ci si riferisce è possibile affermare che ci si trova di fronte a “spazi del divenire, gli spazi dei flussi, delle dinamiche ecologiche, della contaminazione biologica e culturale”[5], ma anche della marginalità economica e sociale[6]

Secondo una connotazione sensoriale e geografica[7] è possibile esplorare il bordo come limite fisico in senso di un ostacolo che limita lo sguardo o come gli elementi strutturali del paesaggio urbano contemporaneo riconoscibili nelle frange urbane, nei margini delle periferie, nelle sponde artificiali dei corsi d’acqua o nelle barriere delle grandi infrastrutture di trasporto; oppure, il bordo inteso come transizione tra due condizioni opposte, quali il giorno e la notte, capace di inserirsi e far comunicare i componenti di un’apparente coppia oppositiva, permette di ribaltare la natura dell'oggetto e soggetto di esplorazione che diventa dunque un tramite, ciò che sta in mezzoche connetteche mette in comunicazione[8].

Quando il bordo è terra di nessunoluogo di abbandono, si presta a nuove soluzioni perché rappresenta un invito al rinnovamento. “Non c’è niente come un luogo abbandonato adatto a creare opportunità per nuove comunità e nuove costruzioni”[9].

L’esperienza sia in campo locale che in quello internazionale[10] sembra rivelare una proporzionalità tra il grado di percezione del senso di abbandono dei luoghi e la scala di problemi che il progetto viene chiamato a risolvere: si tratta di aree che hanno esaurito la propria utilità nel ciclo produttivo industriale, ma che rimangono occupate da impianti in disuso e presentano contaminazioni del terreno e delle acque; oppure si tratta di aree interessate da norme di salvaguardia, attivate per piani attuativi che non hanno mai visto la luce o che risultano interessate da dinamiche speculative o da contenziosi tra pubblico e privato.

Quella del bordo è anche una categoria interpretativa[11] utilizzata spesso per rappresentare situazioni di degrado ambientale e sociale tipiche di luoghi caratterizzati dalla perdita o dalla mai raggiunta qualità della vita urbana, esito di pratiche progettuali fortemente orientate dal sapere tecnico, secondo modelli organizzativi nei quali prevale l’attenzione alla dimensione economica e dello spostamento[12], piuttosto che l’integrazione delle funzioni produttive con gli spazi dell’abitare.

Le aree o le situazioni di bordo risultano esito diretto di processi spaziali influenzati da dinamiche economiche di portata globale, che si riflettono sulla città favorendo lo sprawl urbano, inteso come dispersione delle funzioni residenziali attorno ad una città centrale e rispetto alla quale i governi delle città non sembrano in grado o non tentano di elaborare ipotesi di soluzione[13]
Lo sprawl urbano evolve la propria natura organizzandosi secondo una matrice policentrica nella quale la città principale (non necessariamente la più estesa o attiva) rappresenta solo uno tra i diversi centri urbani, che sempre più velocemente si dotano di servizi alla residenza, dando luogo al fenomeno delle edge cities[14] lungo le direttrici delle grandi arterie stradali.

Kaufman e Marsh, basandosi sull’esperienza statunitense, individuano tre tipologie di edge cities[15]: quelle maggiormente focalizzate sulla dimensione terziaria e della logistica, che per la presenza di cisterne interrate per lo stoccaggio di materiali ed il trasporto di sostanze pericolose favoriscono la contaminazione delle falde acquifere; quelle a specializzazione logistico/terziaria e commerciale, che a causa delle grandi superfici coperte, creano problemi al naturale deflusso delle acque a seguito di fenomeni metereologici intensi; infine, quelle a specializzazione direzionale produttiva e industriale, che maggiormente concorrono alla frammentazione dell’habitat, a causa della diminuzione delle dimensioni minime (patch) di aree forestate ed aree umide[16].

All’interno di questo quadro complesso i macro temi con i quali il progetto della città si ritiene debba maggiormente confrontarsi sono[17]:
-    il rapporto di forza tra lo sviluppo e la pianificazione di iniziativa privata e il settore pubblico (contrapposizione tra spazio pubblico e spazio privato o meglio tra Pianificazione pubblica intesa come salvaguardia degli interessi collettivi e il Potere dei Capitali a disposizione degli Sviluppatori Privati);
-    lo scontro tra aree considerate centrali ed altre periferiche più per un fatto culturale che per la loro dislocazione spaziale (città compatta, sprawledge-cities);
-    la rapida crescita di alcune città soprattutto nella loro rilevanza geopolitica, nodi di una rete globale alle prese con fenomeni di violenza interetnica;
-    i problemi sociali, economici ed ambientali, così come vengono affrontati nelle cosiddette megacities, che vengono riassunti in un termine definibile, a seconda del punto di vista, frontiera o baratro ecologico.

In risposta alle problematiche di cui sopra, sembra emergere diffusamente non solo la costante ricerca di esperienze e principi di cui i saperi tecnici, interessati ai vari ruoli nel progetto della città insieme ai policymaker, possono servirsi per mitigare gli effetti sociali ed ambientali legati al declino economico delle città, ma soprattutto un effimero tentativo di partire dal progetto dei singoli organismi edilizi per arrivare allo sviluppo di modelli strategici per metropoli urbane sostenibili[18].

2. Il contesto spaziale e sociale dei due Casi di Studio

 I due casi di Studio permettono proprio di approfondire la riflessione intorno a due categorie particolari del bordo riscontrabili diffusamente: il bordo come frontiera, intesa come interfaccia e transizione tra ciò che tradizionalmente viene considerato “urbano”, perché classificabile nella categoria della città compatta, e quanto, anche se tradizionalmente classificato come “campagna” o “periferia”, può invece essere considerato come “spazio urbano”[19] non tradizionale, connotabile sia in base ai flussi di attraversamento e di connessione, sia perché luoghi propizi per la coagulazione delle funzioni secondo il modello citato delle edge cities[20]; la seconda considera il bordo come spazio interstiziale, luogo del “non progetto”, risultato di dinamiche urbane non interrelate tra loro, che spesso si sviluppano o ai “confini tra” strumenti urbanistici superati o che, in qualche maniera, avrebbero richiesto una maggiore attenzione nella gestione.
In particolare si tratta di due aree e altrettanti progetti, ricompresi nell’area metropolitana di Cagliari, facenti parte, rispettivamente, nei territori amministrativi del Comune di Selargius e del Comune di Quartucciu entrambi territori di bordo e di transizione, ossia costituiscono la fascia di confine fisico tra la dimensione compatta del tessuto urbano dell’area di Cagliari ed i territori esterni ad essa, rappresentati da vaste zone agricole in cui si innesta una costellazione di piccoli centri abitati isolati.


Schema generale dell’area urbana e localizzazione degli interventi

 L'area metropolitana di Cagliari è caratterizzata da zone di accumulo di funzioni residenziali, produttive, di servizio e miste, congiuntamente a vaste zone di diradamento insediativo. Il campo urbano è cinto da due corone di centri abitati: la prima è contenuta all’interno del tracciato della Strada Statale 554 (comprendente oltre a Selargius e Quartucciu, i Comuni di Monserrato e Quartu Sant’Elena); la seconda, a nord della ss 554, comprende un gran numero di piccoli centri urbani distribuiti sul tessuto territoriale secondo una trama complessa. L’elemento infrastrutturale forte, costituito dalla ss 554, pur configurandosi come “cesura territoriale” e linea di confine, rappresenta tuttavia l’elemento connettivo portante rispetto ai diversi centri urbani ed alla dimensione allargata della città sul territorio.
Si evidenziano alcuni problemi legati principalmente al ruolo dominante del capoluogo cagliaritano, rispetto al quale i comuni della prima corona assolvono fondamentalmente alla funzione residenziale. Solo recentemente processi di nuova localizzazione consentono di individuare sedi di servizi superiori sempre più decentrati, anche grazie all’impiego delle tecnologie ict.
L’immagine spaziale testimonia una dinamica insediativa multiforme segnata sia da fattori ambientali, sia dall’infrastrutturazione del territorio.

Il tessuto insediativo mostra la progressiva saldatura tra i nuclei urbani, avvenuta lungo direttrici preferenziali identificabili con i principali “segni ambientali” (I sistemi umidi del Molentargius e di Santa Gilla, la rete dei rii tributari e il sistema marino-costiero del Poetto rientrano fra le aree umide e costiere più importanti in ambito regionale, ma anche nazionale ed internazionale, quali nodi di una rete ecologica a carattere sovralocale) e con i maggiori corridoi infrastrutturali.

Da questo rapporto tra la dimensione urbana ed i segni ambientali si evince che cosa accade quando “i processi ambientali acquistano rilevanza urbana: il processo di piano favorisce l’inclusione degli elementi naturali nelle dinamiche della città preservando la capacità rigenerativa e la resilienza degli ecosistemi attraverso il mantenimento della biodiversità”[22].
Questi sono gli elementi hanno orientato ed orientano i processi di relazione fra gli insediamenti, condizionando la localizzazione di residenze, di ambiti produttivi e di servizi rari di rilevanza locale e sovralocale.

La presenza nell’area urbana di Cagliari di infrastrutture strategiche (porto canale, fibra ottica sottomarina) e la previsione di potenziamento prefigurano scenari propizi per l’affermazione di un ruolo guida a livello sovralocale e mediterraneo. In tale contesto, Selargius e Quartucciu svolgono tuttora sia un ruolo storico di cerniera legato all’agricoltura e al settore agroalimentare, con funzioni di intermediazione e di scambio tra hinterland e area urbana, sia quello recente di aree di espansione del capoluogo.


2.1.  Il bordo fisico come frontiera: il progetto del Comune di Selargius

L’area di progetto, la ex Polveriera di Cuccuru Angius, per oltre due terzi di proprietà del Comune di Selargius e per la restante di proprietà del Comune di Monserrato, è localizzata oltre la ss 554 lungo la ss 387 direttrice connettiva dall’area metropolitana di Cagliari verso le aree del Parteolla e del Gerrei (figura 1, n. 1) in direzione del Sardinia Radio Telescope[23].




Il sito militare dismesso, raggiunto nel tempo dall'espansione infrastrutturale ed urbana, è situato nei pressi della cittadella universitaria di Monserrato, in un contesto collinare sub-pianeggiante caratterizzato da una numerosa e folta alberatura e da edifici preesistenti risalenti agli inizi del secolo scorso disposti a raggiera e incassati nel terreno per tre lati, al fine di favorire una direzione preferenziale utile, in caso di deflagrazioni improvvise, a proteggere gli altri corpi di fabbrica evitando pericolose reazioni a catena. All'epoca del progetto l'insieme degli edifici,versava in stato di completo abbandono e di avanzato degrado, sia per quanto riguarda gli spazi esterni che per quanto concerne le strutture in elevazione. 

Dallo studio dei diversi progetti presentati dalle varie Amministrazioni Comunali nel tempo, è emerso un progetto pilota sviluppato sulla base di un concorso di idee aperto a tutti i cittadini di Selargius[24]
Il progetto mirava a realizzare nel sito una piazza esterna alla città in cui inserire botteghe artigiane legate alla produzione e alla vendita di prodotti locali tradizionali. Il progetto proponeva la realizzazione di una piazza tradizionale, decentrata, utile ad attirare gli abitanti dell’intera area vasta cagliaritana, disconoscendo totalmente le origini del sito. Le nuove strutture erano previste in mattone crudo (ladiri) e ricalcavano la tipologia edilizia locale, con travi in ginepro e tegole sarde. Tale progetto presentato  al fine di ottenere un finanziamento ministeriale nell’ambito del Quadro Comunitario di Sostegno (QCS)1994-1999 non è mai stato finanziato.
In seguito ad una lettura differente dei luoghi legata sia alla dimensione ambientale, sia alla dimensione edilizia e sia alla dimensione socio-territoriale, tale Progetto Pilota è stato oggetto di rielaborazione e posto in sinergia con altri progetti integrati e programmi di riqualificazione urbana elaborati nel frattempo dalle Amministrazioni succedutesi[25] completando quel processo di “riappropriazione” dei luoghi iniziato tempo addietro.

L'intero compendio e i corpi di fabbrica in esso ubicati “danno le spalle alla città” determinandone il carattere di bordo e di area di frontiera che caratterizza questo spazi, ma, nel contempo, emerge il carattere determinante e strategico legato alla sua posizione baricentrica (spiegata anche dagli usi a cui era destinata) tra l’area metropolitana di Cagliari, i paesi della seconda corona ed il Parteolla-Gerrei, tanto da configurasi sia come una vera e propria porta della città sul territorio, sia come nodo di diverse reti territoriali, tecnologiche e ambientali.
Ed è stata proprio la strategicità localizzativa dell’area[26] che ha permesso di attirare l’interesse di un partner sovralocale come l’Osservatorio Astronomico di Cagliari (oac), che fa parte dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (inaf),[27] innescando la “scintilla” capace di attivare le possibilità latenti in quest’area di interfaccia dando peso e struttura ad un partenariato  successivamente arricchitosi con altri soggetti qualificati[28].

La creazione del partenariato di progetto ha forzatamente imposto ai tecnici specialisti esterni (pianificatori, ingegneri, architetti ed agronomi), i partner, i tecnici dell’amministrazione e i decisori politici[29] di collaborare a diversi livelli mettendo insieme competenze diverse per elaborare un progetto complesso, denominato “Campus della Scienza della Tecnica e dell’Ambiente”, basato su un Documento Strategico all'interno del quale si erano poste le basi metodologiche e di senso e attorno al quale è stata basata la successiva elaborazione del Piano Strategico Comunale.

La strategia progettuale puntava sul raggiungimento dei seguenti obiettivi programmatici:
-    migliorare il ruolo e le funzioni di Selargius nel contesto territoriale, rafforzando le potenzialità rispetto alla dimensione metropolitana; le esperienze avanzate di governance e pianificazione, il processo di concertazione tra livelli di governo e il partenariato economico-sociale;
-    elevare la qualità urbana attraverso il miglioramento della qualità della vita nelle aree periferiche e in quelle dismesse;
-    realizzare interventi di alta qualità, in termini di rilevanza strategica, valore aggiunto e innovazione, sviluppati secondo i principi della progettazione ambientale e la gestione tecnicamente corretta del ciclo energetico, delle acque e dei rifiuti;
-    ospitare attività interagenti tra loro, in grado di alimentare il sistema attraverso autogenerazione delle risorse economico/finanziarie;
-    utilizzare le opportunità, secondo un approccio trasversale, offerte dalle tecnologie della Società dell’Informazione e della Conoscenza in coerenza con le strategie definite nelle agende di Lisbona e Goteborg;
-    creare condizioni ottimali per l’acquisizione della conoscenza ed il “trasferimento tecnologico” alle imprese locali consentendo un passaggio di know-how dall’Università, dai centri di ricerca scientifica e formazione verso le imprese artigiane e industriali;
-    favorire la divulgazione scientifica, tecnica e produttiva attraverso percorsi didattici ambientali e esperienze concrete basate sull’“imparare facendo”.

A partire da questi obiettivi ed in forma complementare alla riqualificazione dell'intero compendio il progetto prevedeva strutture per le attività dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (laboratori generali e laboratori progetto protostar[30]; cupola astronomica didattica; Planetarium e Museo Astronomico); locali ospitanti le attività del Consorzio cosmolab (progetto di Cybersar[31] per la rete di supercalcolo); locali aperti al servizio del territorio[32]; locali di servizio e gestione; strutture per le attività culturali; sistemazioni esterne di aree parco; azioni immateriali di start up; azioni immateriali di supporto e servizio.
L'ubicazione e la presenza nel progetto della sede scientifica dell’Istituto Nazionale di Astrofisica integra funzioni di livello locale e sovralocale grazie alla sua connessione diretta sulla ss 387 con la località di San Basilio, sede del Sardinian Radio Telescope governato in remoto dalla sede della ex Polveriera, e permette di configurare l’area come nodo della rete europea dei radio telescopi nel mondo, oltreché come sede del progetto protostar[33] per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie in campo astrofisico, per la realizzazione di specchi sottili di grandi dimensioni, utili all’uso innovativo dell’energia solare e nodo della rete di supercalcolo del progetto cybersar.

Dunque, quest'area di frontiera, bordo fisico della città compatta assurge improvvisamente a luogo strategico in cui ubicare strutture che ospitano funzioni rare, attrattive non solo per l’area metropolitana, ma anche per l’intero territorio sardo, nazionale ed internazionale.

Dal punto di vista ambientale, il compendio della ex-polveriera e le aree circostanti diventano parte della struttura connettiva che si articola lungo il corridoio ambientale che dal campus della scienza, della tecnica e dell’ambiente, lambisce la zona industriale ed attraversa l’abitato per sfociare nel parco di Molentargius.
Il suo potenziale ruolo sovralocale, i contenuti scientifici, sociali e di innalzamento della qualità della vita rendono il campus “luogo urbano” nel territorio passando da una situazione di bordo, di marginalità e di disconoscimento ad una in cui è pensabile si creino ampie trasformazioni nel funzionamento della città; l’integrazione tra tutte le attività che vi si svolgerebbero lo configurano, allo stesso tempo, come un organismo che, attraverso l’offerta di servizi rari al territorio, attiva processi urbani che favoriscono l’allargamento della città al territorio.



La componente ambientale entrava a far parte del processo progettuale: il progetto affrontava con un approccio integrato gli aspetti gestionali dell’ampia area verde relativi al ciclo delle acque e dei rifiuti per cui l’irrigazione era stata pensata in termini di risparmio idrico grazie ad un sistema sotterraneo che alimentava un sistema anche attraverso la raccolta delle acque meteoriche ed il preventivo stoccaggio in cisterna; anche le acque reflue dell’intero complesso erano pensate per essere trattate con un apposito sistema che, attraverso l’ossidazione totale e la fitodepurazione, consentirà il loro riutilizzo permettendo di realizzare apposite vasche ossigenanti ubicate lungo dei percorsi naturalistici aventi anche il ruolo di creare un microclima favorevole
Il progetto, inoltre, prevedeva il riutilizzo della grande disponibilità di potature in accoppiamento con la frazione di rifiuto umido selezionato per la creazione di compost andando a costituire un esempio di gestione ambientale reale fruibile come percorso didattico-formativo sul funzionamento efficacie di un sistema integrato di gestione delle acque, dei rifiuti e dell’energia.

2.2. Il bordo fisico come spazio interstiziale: il progetto del Comune di Quartucciu

Mentre nel caso del Comune di Selargius il progetto ha cercato di interpretare il concetto del bordo come frontiera, a Quartucciu il progetto si è confrontato contemporaneamente con le due dimensioni del bordo. Da un lato bordo come spazio interstiziale e luogo del “non progetto”, inserito all’interno del tessuto urbano non lontano dal centro antico, residuo di una vasta area, in passato agricola, in cui sorgevano, dal 1949, un grande numero di strutture terricole per la produzione di colture ortive e floricole tra le più importanti d’Europa (figura 1, n. 2); dall’altro bordo come area di frontiera legata alla zona industriale ubicata oltre il tracciato della ss 554 (figura 1, n. 3), che ha ravvivato l’interesse per la cultura e la storia del territorio e ha suggerito di riorganizzare la vita della città a partire dalla valorizzazione delle risorse storiche, della memoria e dagli spazi di relazione, legandoli anche alla dimensione ambientale.



Quartucciu si inserisce nel contesto metropolitano di Cagliari confrontandosi da un lato con le propria dimensione locale, interessata negli ultimi decenni da rilevanti trasformazioni nei comportamenti della popolazione e, dall’altro, con la dimensione metropolitana, per la quale si rileva una condizione di marginalità socioterritoriale. Tale condizione è legata al ruolo di mero supporto logistico e di accoglimento di una parte della domanda abitativa, oltre che ad alcuni fra i più importanti elementi del sistema dell’intrattenimento, del commercio e della grande distribuzione, che si sostituiscono alla funzione dei tradizionali spazi pubblici di socializzazione tipici della città storica[34]. Questa infrastrutturazione, localizzata nel punto di intersezione con i territori comunali di Selargius e Quartu Sant’Elena, costituisce un’“isola di perfetta efficienza” che rende Quartucciu un luogo attraversato da flussi a carattere soprattutto sovralocale, che generano problemi di viabilità urbana oltre che di tipo socio-territoriale.

La scoperta della necropoli di Pill’’e Matta, di straordinaria rilevanza per la ricerca in campo internazionale, e le numerose iniziative sulla figura di Sergio Atzeni (giornalista e scrittore sardo che ha vissuto ed operato a Quartucciu) promosse dalla municipalità e dalle associazioni culturali, hanno offerto la possibilità di utilizzare il tema della cultura e della riscoperta del passato in chiave moderna come traiettoria progettuale capace di restituire a Quartucciu un proprio ruolo nel sistema delle relazioni sovralocali, procedendo verso il superamento progressivo dell’attuale condizione di marginalità.



È proprio da questo punto di vista che il progetto ha riletto il bordo ipotizzando interventi che consentissero di riorganizzare l’intera fruizione degli spazi pubblici in città attraverso la creazione di un parco urbano di rilevanza sovralocale.
Tenendo conto di queste criticità e opportunità, il progetto tenta di riorganizzare urbanisticamente e architettonicamente le due aree collegandole idealmente e articolando la dimensione urbanistica, ambientale, architettonica e sociale all’interno della struttura connettiva rappresentata dalla storia e della cultura locale.
La parte del progetto relativa all’edificazione di un grande parco urbano all’interno di uno spazio interstiziale tende a trasformare un’area degradata e disconosciuta in un luogo di relazione, formazione, didattica e promozione della storia e della cultura locale, inedito per la città.

Le azioni progettuali possono essere così riassunte: realizzazione di un parco urbano da intitolarsi a Sergio Atzeni che accolgono diverse funzioni[35]; riorganizzazione della viabilità che congiunge le due aree; realizzazione del Parco archeologico Pill’’e Matta; sistemazioni esterne aree parco e sito archeologico[36].



Il funzionamento sinergico delle azioni rende il parco un componente strutturale attivo nel sistema urbano, che prende parte alle dinamiche territoriali attraverso l’offerta di spazi pubblici e di servizi collettivi specializzati nel campo della storia, della cultura e dell’istruzione.
Come nel caso di Selargius, sono stati coinvolti per la redazione del progetto numerosi partner, che hanno consentito di pensare gli spazi legandoli ad attività precise da svolgersi all’interno; sono stati siglati appositi protocolli d’intesa per la gestione dell’intervento progettuale.
Ma l’elemento di maggiore rilievo da segnalare è senza dubbio la sensibilità dimostrata da tutta la cittadinanza e dal proprietario del lotto sul quale insiste la necropoli[37], che ha partecipato a tutte le fasi, arrivando anche a sottoscrivere un protocollo d’intesa per la cessione dell’area in regime di perequazione. Emerge così un progetto collettivo a cui tutti contribuiscono attraverso rinunce, apporti ed assunzioni di responsabilità.
Per il carattere degli spazi, delle iniziative e dei servizi offerti, i parchi costituiscono un generatore urbano che contribuisce ad innalzare la qualità della vita per l’intera area vasta.
L’esistenza della necropoli di Pill’’e Matta in zona industriale ha consentito di riflettere sul rapporto che il progetto del parco archeologico può avere con il contesto. Infatti, la realtà industriale, da non cancellare né disconoscere, consente di ragionare su forme, materiali e rapporti di scala.
Il progetto del parco archeologico e dell’organismo edilizio si è basato sia sul rapporto con le costruzioni industriali esistenti, sia sul rapporto tra terra e cielo, evidenziato dalla direzione privilegiata scelta dai fenicio-punici per seppellire i defunti. Questa direttrice privilegiata, fa sì che la luce diventi “guida” del progetto.
La luce penetra nelle strutture, instaurando un clima di penombra squarciata solo dalla luce che penetra dai tagli in copertura, orientati come le sepolture a terra. In questo modo si esalta l’esperienza della visita e lo spazio architettonico diventa un dispositivo di supporto alla conoscenza amplificando la possibilità di vedere le sepolture da diverse posizioni.
Il progetto del secondo complesso sembrerebbe mirare alla costituzione di un frammento di città in cui la dimensione architettonica, urbanistica ed ambientale si compenetrano, dando forma a spazi d’interazione sociale in cui svolgere attività relazionali e culturali. Questo nuovo brano di città articola anche qui le volumetrie partendo dal tema della luce, che caratterizza le direttrici principali sia della piastra/piazza che del parco urbano. Lo spazio pubblico diventa spazio di connessione tra edifici che sembrano emergere dalla piastra stessa favorendo un dialogo tra la strada e la dimensione ambientale.


3. Alcune Coordinate per il Progetto Ambientale in Aree di Bordo

I casi di studio permettono di osservare l’importanza di un progetto collettivo in aree apparentemente dimenticate che si propongono come “generatori” di qualità urbana. In queste aree di bordo il progetto collettivo genera un processo nel quale la mobilitazione delle conoscenze si confronta con una progressiva ibridazione[38] e si costruisce attraverso il coinvolgimento sociale[39]
In entrambi i casi l’approccio, per la capacità di coinvolgimento e di mobilitazione del partenariato, per la contestualizzazione delle azioni progettuali, può essere ricondotto al filone di ricerca del collaborative planning.
I progetti sembrano aver rotto “con un mondo politico-amministrativo consolidato [e] di fare le cose per portare dentro nuovi giocatori e nuove percezioni”[40]. Ciò ha richiesto che i “giocatori” in campo riconoscessero sia la reciproca natura di “soggetto interessato”[41] sia la validità e dignità delle reciproche prerogative, obiettivi, modalità di rappresentare il mondo non come ontologicamente dato. I giocatori hanno potuto operare in uno spazio relazionale comunicativo[42] e di interazione non dissimile da quello teorizzato da Goffman[43].
Le esperienze mostrano la necessità di prevenire, e comunque gestire, i conflitti latenti tra soggetto promotore del progetto di trasformazione del territorio e la società locale interessata.
Appare indispensabile una conduzione di processo trasparente e partecipata secondo una strategia comunicativa[44] che assume maggiore importanza a seconda della consistenza del tempo a disposizione per la co-costruzione del progetto[45], richiedendo risorse finanziarie e umane in quantità e qualità quasi mai disponibili. In queste situazioni i soggetti incaricati di gestire il ruolo di interfaccia tra i cittadini e la pubblica amministrazione, intesa come depositaria dei “fatti amministrativi”[46], si misurano sul progetto curando contemporaneamente la gestione di processi comunicativi – articolati alla base della costruzione condivisa di visioni e scenari progettuali[47] – senza prestarsi ad una mera attività di mediazione relazionale.
Il concetto di bordo, pur essendo “sfumato” e non sempre condiviso o condivisibile, è sembrato, nelle due esperienze, identificabile quando, a partire da un’analisi di tipo prettamente fisico, lo sguardo si è rivolto alle relazioni, arrivando a percepirne così le derive di bordo sociale, ambientale e culturale. L’area della ex polveriera di Selargius contiene aspetti relazionali di scala sovralocale, mentre nel caso di Quartucciu le relazioni si configurano a scala soprattutto locale, permettendo un più semplice accostamento tra la dimensione fisica del bordo e le dimensioni sociale, ambientale e culturale.
Questa differenza ha orientato gli interventi progettuali e la selezione dei partner di progetto in modo da favorire una co-costruzione di senso da attribuire ai luoghi.
In entrambi i casi emerge uno spostamento di interesse dalla semplice connotazione fisica dello spazio (aree di bordo) a quella relazionale delle stesse (situazioni di bordo) che lo caratterizzano come spazio del divenire, “spazio relazionale” e della contaminazione soprattutto culturale[48], nel quale sperimentare nuovi modelli di urbanità e nuove forme di appropriazione da parte delle società locali. È lo spazio relazionale, quindi, che sembra proporsi come luogo propizio all’attivazione di processi in cui i cittadini diventano attori principali e non spettatori passivi.





[1]All’interno del vasto dibattito sulle tipologie e interpretazioni relative al concetto di bordo è possibile trarre numerosi spunti dalla letteratura ormai copiosa, ed in particolare un volume del 2005 intitolato City Edge. Case Studies in Contemporary Urbanism a cura di Esther Charlesworth e pubblicato per i tipi della Elsevier. Il volume contiene una raccolta di casi di studio accomunati dal tema del progetto della città in “situazioni di bordo” localizzati nei cinque continenti (Europa, Asia e Medio Oriente, Stati Uniti, Africa e Australia) e selezionati tra quelli presentati in occasione di quattro conferenze tenutesi a Melbourne, Australia, dal 1999 al 2005. I temi delle quattro conferenze: Private development versus public realm (1999); Centre versus periphery (2000); Cities on the edge: reconstruction, deconstruction and architectural responsibility (2002); The eco edge: urban environments or urban disasters? (2005); delineano un percorso durante il quale la città può essere considerata a livello mondiale come paradosso che può essere spiegato attraverso la categoria interpretativa del bordo.
[2]. Il concetto di progetto collettivo viene qui inteso come esito di un percorso di condivisione della conoscenza tra sapere tecnico e sapere contestuale che permette l’attivazione e l’accrescimento dell’“intelligenza collettiva” propria di una società locale. Cfr. P. Levy (2002), L’intelligenza collettiva, Feltrinelli, Milano. Tale attivazione a sua volta è strettamente legata alla presenza di quelle “reti di conversazione”, identificabili anche con la “struttura che connette” di cui parla Bateson nel suo Mente e natura. Cfr. F. Clemente (2000), “La Pianificazione ambientale complessiva come funzione permanente del territorio”, in G. Maciocco, G. Deplano, G Marchi, (a cura di), Etica e pianificazione spaziale, FrancoAngeli, Milano; G. Bateson (1984), Mente e natura, Adelphi, Milano.
[3]I. de Solà-Morales (1995), “Terrain Vague”, in C. Davidson (ed.), Anyplace, The MIT Press, Cambridge, MA.
[4]G. Maciocco (2000), “Wastelands”, Plurimondi, n. 3.
[5]Cfr. l’introduzione di Paola Pittaluga al volume G. Maciocco, P. Pittaluga (2001) (a cura di), La città latente. Il progetto ambientale in aree di bordo, FrancoAngeli, Milano.
[6]. Cfr. A. Barbanente (2003), “Gli incerti orizzonti del progetto ambientale in contesti in transizione. Linee d’indagine per il distretto di Lushnje Albania”, in G. Maciocco, P. Pittaluga (a cura di), Territorio e progetto. Prospettive di ricerca orientate in senso ambientale, FrancoAngeli, Milano.
[7]P. Adams (2005), “Foreword”, in E. Charlesworth (ed.) (2005), op.cit.
[8]Ibid.
[9]. Ibid.
[10]. Si pensi in Italia al problema della riqualificazione delle aree industriali dismesse anche all’interno dei centri abitati, “diventate marginali sia in seguito a strategie di ricollocazione delle attività per le quali erano state organizzate, sia per la crescente accelerazione dell’innovazione tecnologica, sia a causa dello spostamento delle principali reti di comunicazione” F. Spanedda (2001), “Possibilità latenti: una ricognizione su alcuni progetti contemporanei” in G. Maciocco, P. Pittaluga (a cura di), op.cit.; è il caso delle aree metropolitane milanese e torinese, come pure ampie estensioni di territorio occupate da monocolture industriali come l’ex area Italsider di Bagnoli o ancora, negli Stati Uniti i brownfields interessati dalla legge di settore Small Business Liability Relief and Brownfields Revitalization Act. Cfr. http://thomas.loc.gov/cgi-bin/bdquery/z?d107:h.r.2941.
[11]In forma elementare è facile legare questo concetto alla superata dicotomia tra città e campagna per la quale le aree di transizione tra l’una e l’altra, il cosiddetto limite della città, assumono forme fisiche, significati e spessori differenti che riportano più ad una immagine di margine che di limite geometrico lineare. D’altro canto nella letteratura riferibile alle scienze dell’organizzazione il bordo viene descritto nel senso di frontiera dove le vecchie idee vengono superate: all’avanguardia della scienza, letteratura, pittura, politica e filosofia che è possibile trovare le idee più innovative e allo stesso tempo più eccentriche. Dunque bordo come luogo dell’invezione. Cfr. E. Charlesworth (ed.) (2005), op. cit.
[12]V. Henderson, A. Mitra (1996), “The New Urban Landscape: Developers and edge Cities”, Regional Science and Urban Economics, n. 26.
[13]M. A. Stern, W. M. Marsh (1997), “The Decentered City: Edge Cities and the Expanding Metropolis”, Landscape and Urban Planningn. 36.
[14]Ibid. Per approfondire la prima trattazione focalizzata sul fenomeno delle edge-cities cfr. J. Garreau (1991), Edge City: Life on the New Frontier, Doubleday, New York.
[15]M. M. Kaufman, W. M. Marsh (1997), “Hydro-ecological Implications of Edge Cities”, Landscape and Urban Planning, n. 36.
[16]Ibid.
[17]H. Charlesworth (2005), (a cura di), op. cit.
[18]Ibid.
[19]Per un proficuo approfondimento sul tema dello spazio urbano periferico cfr. F. Bucci (2003), “Per un’archeologia dell’hinterland”, in F. Bucci (a cura di), Periferie e nuove urbanità, Electa, Milano.
[20]. M. A. Stern, W. M. Marsh (1997), op.cit.
[21]
[22]T. Congiu, S. Serreli (2001), “Funzioni ambientali e funzioni urbane: prospettive di integrazione”, in G. Maciocco, P. Pittaluga (a cura di), op.cit.
[23]Il Sardinia Radio Telescope in fase di costruzione nelle vicinanze del comune di San Basilio fa parte della rete europea di radiotelescopi nel mondo.
[24]. Il carattere di progetto collettivo emerge fin dall’invito per la presentazione di idee: pervennero, infatti, oltre dieci proposte sia da parte di raggruppamenti di tecnici che da semplici cittadini.
[25]. Si tratta dei Progetti Integrati a valere sulle Misure por Sardegna 5.1.1 e 6.3 oltre che nel programma complesso Contratto di Quartiere II “Canelles-Santa Lucia”. Tutti i progetti interpretavano il compendio della ex-ploveriera come luogo di “cerniera” compreso in un corridoio verde (“cuneo verde”) di connessione dei territori collinari con l’area umida del Molentargius. La lettura della struttura territoriale trova attualmente una conferma in alcuni dispositivi spaziali previsti dallo schema di Piano Paesaggistico Regionale ancora in fase di elaborazione.
[26]. Vicinanza del sito al polo scientifico-universitario di Monserrato, oltre che al Sardinia Radio Telescope.
[27]L’inaf-oac è una delle 21 strutture di ricerca dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, ente scientifico del mir (Ministero dell’Istruzione, l’Università e la Ricerca) e fa parte della Società Italiana di Archeo-Astronomia, che si occupa di ricerca e divulgazione nel settore dei reperti archeologici con rilevanza astronomica. L’inaf-oac partecipa all’offerta formativa del Dipartimento di Fisica dell’Università di Cagliari tenendo corsi, stage e dottorati di ricerca.
[28]. Il Consorzio cosmolab; il Consorzio della Zona Industriale catais (Consorzio Assistenza e Tutela Attività Imprese Sud Sardegna); il Dipartimento di Ingegneria del Territorio – Sezione di Geofisica Applicata; il Centro Nazionale Opere Salesiane – Formazione e Avviamento Professionale Regione Sardegna (cnos-fap); il sistema scolastico di Selargius (istituti scolastici del territorio); le Consulte delle Associazioni Culturali e di Volontariato; il Comune di Monserrato.
[29]I diversi attori si sono confrontati, affiancati da esperti che hanno utilizzato tecniche per l’ascolto, tecniche per l’interazione costruttiva e, in alcuni casi, tecniche per la gestione dei conflitti.
[30]Il progetto di sperimentazione protostar (acronimo di Prototipo Solare Termodinamico ad Alto Rendimento, finanziato dal miur), nasce da una collaborazione fra la Sezione di Cagliari dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, enel e Galileo Avionica ed è finalizzato all’applicazione delle tecnologie sviluppate in astrofisica per la realizzazione di specchi sottili di grandi dimensioni nello sfruttamento dell’energia solare.
[31]II progetto sperimentale Cybersar è finalizzato alla realizzazione in Sardegna di una cyberinfrastructure, organizzata su una rete di poli di calcolo ad alte prestazioni e orientata alla ricerca di base e applicata nei settori delle scienze naturali, dell’ingegneria e dell’informatica. L’infrastruttura è basata su poli di calcolo complementari con connessioni in fibre ottiche dedicate al fine di sperimentare nuovi paradigmi di calcolo in grado di aggregare dinamicamente risorse distribuite e di fornire una potenza aggregata di picco di alcuni Teraflops. I quattro poli principali sono: Campus universitario di Monserrato; Parco scientifico e tecnologico Polaris; Sezione inaf di Cagliari (da localizzarsi presso il parco della scienza della tecnica e dell’ambiente per la sua posizione strategica tra il Sardinia Radio Telescope e il campus universitario di Monserrato); Campus universitario di Sassari.
[32]. Laboratori didattici; aule per alta formazione; spazi espositivi polifunzionali; Centro integrato e biblioteca per l’infanzia; Centro di educazione ambientale.
[33]. Mentre nel campus saranno ospitati i laboratori di ricerca in zona industriale sarà localizzata la struttura produttiva finalizzata alla realizzazione di prototipi di specchi sottili di grandi diametri di collettori solari.
[34]L. Kohr (1976), The City of Man, Universidad de Puerto Rico, Puerto Rico.
[35]. Museo archeologico “Luce sul Tempo”; biblioteca/mediateca comunale; sala convegni; laboratori didattici per l’infanzia; centro per l’infanzia e biblioteca per l’infanzia con spazio gioco; Caffè letterario; Deposito reperti, Laboratorio catalogazione, laboratori didattici; aule; internet point e hot spot wireless; parcheggio interrato e restante parte dell’area adibita a verde attrezzato; realizzazione di un parcheggio seminterrato e a livello stradale.
[36]. Sistema del verde; predisposizione e gestione impianti ciclo acque-compost-energia; spazi per laboratori archeologici.
[37]Il proprietario del fondo avrebbe potuto, legittimamente, costruire un capannone industriale nell’area in cui sono stati fatti i ritrovamenti non essendo stato iscritto sullo stesso, da parte della Soprintendenza, alcun vincolo archeologico, se non per il periodo relativo alla sola campagna di scavo ed asportazione dei reperti.
[38]Intesa anche come opportunità di rigenerazione degli strumenti e delle tecniche proprie delle discipline che si intersecano nel “fare il progetto”. In particolare, come affermato da Silvano Tagliagambe nel suo articolo pubblicato nel 1998 sul numero 3 della rivista Oikos “lo sviluppo della scienza frantuma di continuo le barriere degli ambiti disciplinari e Vernadskij [geochimico, radiogeologo, esperto di mineralogia] è convinto che la vita più intensa e produttiva della scienza si svolge proprio ai confini dei singoli campi, e non dove e non quando questi campi si chiudono nella loro specificità”. Cfr. inoltre, P. Amphoux (2003), “Progetto urbano. Approccio interdisciplinare e ibridazione della conoscenza”, in G. Maciocco, P. Pittaluga (a cura di), Territorio e progetto, FrancoAngeli, Milano;
[39]P. Healey (2003), Città e Istituzioni, Edizioni Dedalo, Bari (op. orig., (1997), Collaborative Planning. Shaping Places in Fragmented Society, Palgrave Publishers Ltd.
[40]Ibid.
[41]. J. Forester (1999), The Deliberative Practitioner. Encouraging Participatory Planning Processes, MIT Press, Cambridge, MA.
[42]P. Watzlawick, J. H Beavin, D. D. Jackson (1971), “Pragmatica della comunicazione umana”, Astrolabio, Roma.
[43]Cfr. E. Goffman (1969), “La vita quotidiana come rappresentazione”, il Mulino, Bologna; E. Goffman (1971), “Il comportamento in pubblico”, Einaudi, Torino.
[44]. J. Forester (1999), op. cit.
[45]. Inteso anche come processo di potenziamento della capacità istituzionale della società locale. Cfr. A. Giddens (1984), The Constitution of Society, Cambridge Policy Press; P. Healey (2003), op. cit.
[46]G. Morbelli (1997), Città e piani d’Europa, Dedalo, Bari
[47]. J. E. Innes (1995), “Planning Theory’s Emerging Paradigm: Communicative Action and Interactive Practice”, Journal of Planning Education and Research, vol. 14, n. 3.
[48]M. Maciocco, P. Pittaluga (2001), op. cit.







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